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LIBRI SULLO SPORT: 8 TITOLI DA NON PERDERE

31/03/2020

Stare a casa per alcuni di noi può significare trovare il tempo di dedicarsi ad un buon libro.

Ecco le nostre scelte, una per sport, per leggere le storie, magari poco note, di sportivi eccezionali…

CALCIO – Storie Mondiali. Un secolo di calcio in 10 avventure, Federico Buffa e Carlo Pizzigoni

Federico Buffa, straordinario story-teller televisivo, racconta in 10 capitoli le più belle pagine dei Mondiali di calcio. Non solo gol e indimenticabili campioni, ma anche musiche, atmosfere, politica e cronache del Novecento: il secolo del calcio. Perché «Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio».

TENNIS – Andre Agassi, Open, Einaudi

Open è il libro che, senza esagerazione, ha sancito un definitivo punto di svolta nella percezione dello sport nella letteratura mondiale. Finalmente, uno sportivo parla di sé senza trincerarsi dietro alla maschera della celebrità, senza ricorrere a frasi fatte da buttare in pasto alla massa dei fan. L’introspezione a cui Agassi si dedica fa sì che si trascenda dalla mera biografia, per scavallare nel romanzo di formazione. Dolore, solitudine, ansia, non trofei, gioie e bella vita. È questo che sancisce la grandezza di Open, che lo avvicina al lettore a prescindere dal contesto specifico – il tennis – di cui si parla. D’altronde, non siamo tutti, se non quasi, costretti quotidianamente a fare qualcosa che non ci piace per portare a casa lo stipendio, per compiacere qualcuno o, semplicemente, perché quella che svolgiamo è l’unica tipologia di vita che conosciamo?  “Odio il tennis, lo odio con tutto il cuore, eppure continuo a giocare, continuo a palleggiare tutta la mattina, tutto il pomeriggio, perché non ho scelta”. Cosa c’è di più umano, di più universalmente riconoscibile di questa frase?

ALPINISMO – Katia Lafaille, Senza di lui, CDA & Vivalda

La passione irrazionale, bruciante e totalizzante per uno sport è vissuta, nel libro di Katia Lafaille, dalla prospettiva opposta rispetto a quello di Finnegan. Katia, alpinista svizzera di grandi prospettive e doti, rinuncia infatti alla sua carriera per amore dell’uomo della sua vita, Jean-Christophe Lafaille, uno dei più grandi alpinisti degli inizi del XXI secolo. Per lui, Katia diventa manager, ufficio stampa, organizzatrice di spedizioni, reimpostando il suo rapporto con la montagna in chiave amatoriale e non professionale. Questo fino al 2006, quando Jean-Christophe, come tanti altri suoi colleghi anche di recente, deve arrendersi alla forza della montagna, ucciso dagli 8000 metri del Makalu, la quinta vetta più alta della terra situata tra Nepal e Tibet. Katia sarà d’ora in avanti costretta a convivere con l’assenza dell’uomo da lei amato sopra ogni altra cosa e, soprattutto, a fare pace con la montagna, accettandone non solo le grandezze, ma anche le miserie. Ne emerge un quadro sincero e appassionato dell’alpinismo di professione, descritto con il disincanto di chi, alla montagna, riconosce il potere quasi soprannaturale di donare al contempo vita e morte.

MARCIA – Andrea Schiavon, Cinque cerchi e una stella, add

L’attentato compiuto dal commando palestinese Settembre Nero alle Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972 è uno degli episodi terroristici più tristemente conosciuti della storia sportiva. Ma in pochi sanno che, tra i sopravvissuti della squadra israeliana, c’era un certo Shaul Ladany, marciatore. Alla gara di marcia, che era svolta il giorno prima dell’attentato presso il villaggio olimpico, Ladanay era arrivato 19°. Un risultato tutt’altro che eclatante, non certo degno di essere scolpito negli almanacchi sportivi. E allora perché tanta attenzione per Ladanay? Perché dedicargli addirittura un libro? Perché, oltre che all’attentato del ’72, Ladanay era già riuscito a sopravvivere a un altro massacro, di proporzioni addirittura maggiori: l’Olocausto. Un anno a Bergen Belsen, all’età di 8 anni, assistendo alla morte di quasi tutta la sua famiglia. Quindi il trasferimento in Israele, la laurea in ingegneria e quella passione, mai accantonata, per la marcia, la più faticosa delle discipline atletiche dopo (o insieme) alla maratona. Ma la sua marcia, più che sul tartan di una pista (che gli è comunque valsa 28 medaglie in patria e due partecipazioni alle Olimpiadi), si è svolta nella storia: dall’Olocausto a Monaco, dalla Guerra dei Sei Giorni a quella dello Yom Kippur, da Eichmann a Nixon. Ladanay ha marciato attraverso il XX secolo, vivendo da protagonista la storia del suo popolo prima e del suo Paese poi. Con la fatica, i crampi e il sudore del marciatore. Ma sempre senza perdere il sorriso che faceva paio con i suoi occhiali rotondi, consapevole, nonostante le atrocità viste, della ricchezza della vita. “Possiamo definirti il sopravvissuto per eccellenza?” gli chiedevano spesso i reporter. “Non saprei,” rispondeva lui, “diciamo che di sicuro, nella mia vita, non ha mai vissuto momenti noiosi”.

RUGBY – Ama il tuo nemico, John Carlin

Dopo ventitré anni di carcere, Nelson Mandela torna libero e diventa Presidente del Sud Africa. Ma ha ancora un’altra sfida da affrontare, quella più difficile: l’apartheid. La vince attraverso il Rugby e l’incredibile Coppa del mondo del 1995, quella conquistata dagli Springboks.

BASKETAltro tiro altro giro altro regalo, Flavio Tranquillo

Flavio Tranquillo, celebre giornalista sportivo, ci racconta il suo amore per il Basket. Storia, protagonisti e strategie attraverso l’occhio esperto di chi, questo sport, l’ha sempre visto da vicino. Un saggio emozionante.

MARATONA – Il testamento del Maratoneta: una storia vera, Manuel Sgarella

L’incredibile e poco conosciuta avventura di Carlo Airoldi che nel 1896, per partecipare alla Maratona delle prime Olimpiadi moderne, senza un soldo in tasca, si fece da Milano ad Atene a piedi. Duemila chilometri per entrare nella storia.

CICLISMO – Alberto Toscano, Gino Bartali. Una bici contro il Fascismo, Baldini + Castoldi

Gino Bartali, anche per il suo carattere chiuso, introspettivo, da autentico toscanaccio (testimoniato anche dal suo soprannome, lapidario come una sentenza: Ginettaccio) non ha mai goduto dei favori dei riflettori. Quelli, più delle vittorie che invece con Ginettaccio era costretto a spartire, se li prendeva il rivale Fausto Coppi, a cui difatti le radiocronache dell’epoca hanno regalato una delle più belle “inquadrature a zoom” vocali mai realizzate dalla Rai: “Un uomo solo è al comando. La sua maglia è bianco-celeste. Il suo nome è Fausto Coppi”. Il radiocronista Mario Ferretti raccontò così, con abile effetto di suspance, la penultima tappa del Giro d’Italia 1949 alle migliaia, se non milioni di Italiani incollati alle radioline. La tappa fu talmente epica da impressionare Dino Buzzati, che restò stregato da quello che definì un “incanto del pedalare emerso dall’infernale fatica”. Ecco, al secondo posto di quella tappa si piazzò Bartali, destinato spesso ad avere un ruolo nell’ombra, pur essendo anche lui, con un palmares di tre Giri d’Italia e due Tour de France, un campionissimo. Con Gino Bartali. Una bici contro il Fascismo, Alberto Toscano si propone di ricollocare Bartali sotto la luce che merita, facendo scoprire ai lettori non solo il campione, ma soprattutto l’uomo. Colui che, in silenzio, senza stare a sbandierarlo tanto ai quattro venti, salvò migliaia di ebrei trasportando documenti falsi nell’intelaiatura della sua bici, per il semplice motivo che era “giusto così”. Un uomo semplice, marito devoto e italiano religioso, che proprio per questo piaceva al grande pubblico e che, nella sua modestia, si opponeva al mito del vir Romanus e Fascista. Umanissimo e al contempo mitico nella sua fatica: un Sisifo che, al posto del masso, spinge costantemente in salita la sua bicicletta.

 

 

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